Siamo lieti di annunciare una fantastica novità: nell’ambito del famoso premio “Red Dot Award: Product Design 2020”, la nostra Nuki Smart Lock 2.0 è stata insignita del prestigioso “Red Dot”!
Il “Red Dot” è un riconoscimento attribuito all’elevata qualità del design. Questo ambito sigillo di qualità viene assegnato da una giuria internazionale esclusivamente a prodotti dotati di un design, una funzionalità e un’ergonomia eccellenti. Siamo molto orgogliosi che la nostra Nuki Smart Lock 2.0, sviluppata congiuntamente ai designer del nostro partner EOOS, faccia parte di questo ristretto club di prodotti premiati.
In questa intervista cogliamo l’occasione per puntare i riflettori sugli artefici del design della Nuki Smart Lock 2.0: Harald Gründl, insieme a Gernot Bohmann e Martin Bergmann – menti creative dello studio di design viennese EOOS – e Jürgen Pansy, Head of Product di Nuki, ci parlano dei principi di design, del fascino e delle sfide del sistema di accesso smart alla propria casa.
L’ideazione di Nuki risale al 2013. Che ruolo ha giocato il design nello sviluppo del prodotto?
Pansy: Ritengo che il punto fondamentale sia che la Smart Lock è un dispositivo installabile a posteriori. È quindi importante che ciò che si va ad applicare al cilindro della serratura sia anche armonicamente coordinato alla propria porta. Per noi era chiaro fin dal principio che per ottenere un insieme vincente il design dovesse essere coerente. Di conseguenza, la maniglia girevole di alluminio rappresenta il prolungamento del cilindro, mentre per la parte restante della Smart Lock è stata mantenuta la massima semplicità. Non è necessario utilizzare troppi colori differenti e deve esistere un unico pulsante da poter premere. In questo modo il prodotto rispecchia inoltre i valori intrinseci dell’azienda.
Nuki Smart Lock 2.0 consente un accesso smart alla propria casa trasformando lo smartphone in una chiave intelligente. Come siete giunti a occuparvi di questo progetto?
Gründl: Noi di EOOS lavoriamo spesso sui mobili, ma anche sul design di prodotti, come ad esempio i faretti a LED della Zumtobel. Di design per il settore dell’elettronica non ci eravamo invece ancora occupati. Il progetto Nuki era per noi particolarmente interessante perché era la prima volta che collaboravamo con una startup. Finora avevamo sempre collaborato solo con grandi marchi molto affermati: Giorgio Armani, Adidas, Lamy. La cosa più entusiasmante di questa collaborazione era la provenienza da direzioni completamente diverse; ciò che ha caratterizzato la collaborazione è che sia EOOS che Nuki aspiravano a un prodotto perfetto. Nel frattempo, Nuki è diventata la serratura “premium” per il montaggio a posteriori leader del mercato. A monte ci sono attitudini e atteggiamenti, da cui scaturiscono buoni prodotti. In questa fase, il design del prodotto è un investimento nel futuro: può andare bene o può andare male. In ultima analisi, è stata un’autentica decisione ad alto rischio. Il nostro principale punto di partenza è l’ottima base di comunicazione instaurata con l’azienda, la sensazione di parlare, pensare e sognare insieme. Per cui abbiamo affrontato uniti questo rischio.
Pansy: La comunicazione con EOOS ha sempre funzionato alla perfezione; anche quella con il nostro produttore Aquis, giacché il coordinamento digitale ha funzionato con grande velocità. Da parte nostra, in realtà, l’input più importante è stato quello di dire sempre: qui possiamo arrivare fino a questo punto, qui fino a quest’altro. E di queste decisioni ce ne sono state moltissime.
Raccontaci qualcosa della storia della nascita e dello sviluppo del progetto. È andato sempre tutto per il verso giusto, secondo le previsioni? Quali sono state per te le sfide da affrontare durante il progetto?
Pansy: A suo tempo, la sfida più ardua dal punto di vista di Nuki è stata sicuramente la nostra scarsa confidenza con lo sviluppo dell’hardware. Prima di allora avevamo sempre realizzato soltanto software, portali web e app per dispositivi mobili. Per questo era già molto avvincente la cooperazione con aziende che avevano già lavorato su progetti di hardware. Ci siamo sfidati di continuo vicendevolmente per trarre il massimo dalle idee. Nelle diverse fasi del prototipo era emerso con chiarezza che il design che avevamo scelto inizialmente presentava alcuni svantaggi che non volevamo portarci dietro. Questo è stato certamente l’impegno più grande: anticipare quanto più possibile l’insorgere di tali ostacoli, perché come startup non ci si può permettere di costruire un gran numero di prototipi. Ma d’altra parte non ci si può neanche permettere di percorrere sempre e soltanto la linea di minor resistenza. Bisogna saper trovare dei compromessi. La combinazione di tutti questi elementi fornisce il prodotto finale ottimale.
Gründl: La competenza chiave di Nuki è indubbiamente il software, soprattutto per quanto concerne la sicurezza, che per noi è uno dei criteri determinanti ed è alla base della credibilità del progetto. La Nuki Smart Lock include tuttavia anche l’hardware, e fin dall’inizio abbiamo avuto grande rispetto per questa componente. Nuki non sarebbe stata la prima start up a inciampare nell’hardware. È qui infatti che tanti progetti naufragano, perché di solito si tende a sottovalutarlo. La sfida era perciò fare in modo che software, hardware e design costituissero un quadro complessivo coerente.
Come dobbiamo immaginare il processo di sviluppo tecnico dei tuoi lavori? Quale principio segui?
Gründl: L’idea originaria era un semplice tasto da premere. Questo pulsante doveva sostituire la tradizionale chiave meccanica. Di fatto è stato questo il nostro punto di partenza, dal quale però i nostri partner tecnologici ci avevano sconsigliato di procedere. Tale modello tuttavia è rimasto, ed è anche un progetto in divenire, dove il pulsante viene integrato direttamente nelle porte (nota: Works with Nuki). Per la Nuki Smart Lock era ovviamente necessario tener conto di alcuni aspetti legati alla sicurezza. Dall’esterno è ben protetta, perché viene montata dalla parte interna della porta. Ma internamente bisognava pensarci: cosa accade in una situazione di emergenza? Così è nata questa manopola pronunciata. Volevamo che la Smart Lock fosse come il pomello di una porta.
Per il materiale dell’anello abbiamo tratto ispirazione dalle maniglie e dalle targhette di metallo sulle porte. Alla base c’era l’idea che questa parte della Smart Lock, che deve essere afferrata, avesse anche questo ‘look and feel’. Nel medesimo contesto è nata anche la simbologia del cerchio. Tramite il cerchio, che può essere aperto o chiuso, volevamo appunto simboleggiare l’apertura e la chiusura della porta. Questo simbolo incisivo che appare sia nell’hardware che nel software collega reciprocamente i due livelli.
Ti eri immaginato che alla fine il prodotto avrebbe avuto l’aspetto che ha oggi? Erano state elaborate anche proposte alternative?
Pansy: La primissima versione progettuale era un rendering, e il design di quella versione appariva già molto simile all’attuale. In sostanza, si trattava di uno smartphone sulla porta con una manopola. Nella fase intermedia i disegni sono diventati molto cubiformi, per poi di nuovo trasformarsi nella versione del pomello con lo smartphone. Fatto a posteriori assai curioso, considerando che dalla primissima proposta al prodotto finale, non ci siamo allontanati poi di molto. Il percorso effettuato è già di per sé interessante.
Poco fa hai parlato del simbolo del cerchio. Dove cerchi di solito l’ispirazione per il design dei tuoi prodotti?
Gründl: Il nostro modo di lavorare alla EOOS è fortemente caratterizzato da immagini, rituali e narrazioni. La definiamo “analisi poetica”. Per noi, il design di un prodotto è dunque efficace quando è poetico. La Smart Lock costituisce un ponte tra questi mondi. Le persone sono sempre combattute fra analogico e digitale; ma il bello della Smart Lock è che vi si coniugano entrambi gli aspetti.
Quali sono per te i fattori essenziali in un tuo progetto? Quali obbiettivi persegui nello sviluppo dei prodotti?
Pansy: Dietro a ognuno dei nostri prodotti ci sono una visione e un problema a cui vogliamo dare una soluzione. In linea di principio cerchiamo sempre di avvicinarci quanto più possibile a questa visione con il potenziale tecnico a disposizione. Nel caso della Nuki Smart Locks 2.0 l’idea è che non c’è bisogno della classica chiave perché la porta mi riconosce e mi accoglie automaticamente. È questa la ragione per cui lavoriamo alla Nuki. L’utilità del prodotto per il cliente deve essere in ogni caso massima – su questo non scendiamo a compromessi – e le scelte progettuali non possono ridurre l’utilità del prodotto. Ci eravamo imposti l’utilità del prodotto ancor prima di sviluppare il progetto. Portando avanti il processo abbiamo cercato di non allontanarci da questa utilità e dai casi d’uso definiti preliminarmente e di offrire nondimeno un design ottimale.
Secondo te, cosa definisce un design del prodotto efficace?
Gründl: Adesso che la gamma dei prodotti non comprende più esclusivamente la Smart Lock, ma anche molti altri articoli, è importante non limitarsi alla progettazione del singolo prodotto, ma disporre di una linea di design applicabile a tutti i successivi prodotti da realizzare. Un approccio particolarmente riuscito nel caso della Nuki. Che si osservi la Nuki Bridge o il Nuki Fob, tutto è identificabile come “Nuki”. Inoltre, è sempre stato chiaro che dove si accende una luce, quella luce deve essere bianco vivo. Anche così si sviluppa l’identità di un marchio.
Pansy: Diciamo che un prodotto ha un buon design quando lo si utilizza volentieri. In tal senso l’oggetto deve avere sia un aspetto formale attraente che la capacità di fornire la funzionalità richiesta. Il concetto, in realtà, è piuttosto semplice: usare il prodotto deve essere divertente. Alla Nuki aspiriamo sempre al prodotto ideale, e ad ogni successiva iterazione cerchiamo di avvicinarci sempre più all’obbiettivo. In definitiva, il prodotto ideale è soltanto quello che soddisfa il cliente.
Grazie mille per l’intervista!
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